“Tristezza? No, dai! La tristezza proprio no!”
Questo staranno pensando probabilmente molti di voi e questo è quello che mi sono sentita dire tutte le volte che parlando di emozioni affronto il tema della tristezza.
Questo avviene perché spesso quando insorge la tristezza tutto diventa nero, buio e pare non esserci una via d’uscita, proprio come avviene nel libro, quando il nostro protagonista vede intorno a se pesci tristi, affranti, desolati,… Tanti sono i termini che vengono utilizzati per definire questo stato d’animo e probabilmente alcuni li riterremo più accettabili di altri, anche se poi il concetto e il sentimento di fondo non cambiano.
In realtà, la tristezza è una delle emozioni primarie, innate e fondamentali della sopravvivenza umana.
Il primo motivo riguarda un bisogno fondamentale, che spesso viene trascurato: il bisogno di fermarsi. Quando siamo giù di morale siamo obbligati a fermarci, a darci uno stop, spesso piangiamo, sfogando il nostro malessere e a questo segue una fase in cui riflettiamo su quanto ci sta succedendo. Nel tram tram quotidiano ci ritroviamo ad andare avanti sempre e comunque, senza interrogarci su come sta andando, se c’è qualcosa da migliorare o cambiare, presa una strada difficilmente la mettiamo in discussione, per il timore di aver perso tempo o di realizzare di star sbagliando qualcosa. La tristezza, invece ci impone di fare il punto della situazione e questo potrebbe far volgere il nostro sguardo anche alle possibili strade alternative, alle possibili soluzioni. È grazie ad un momento di stallo che poi possiamo ripartire con più carica e con le idee più chiare.
Il secondo motivo per cui la tristezza è un’emozione fondamentale è che senza bisogno di tante parole riusciamo a mandare a chi ci sta intorno un segnale d’aiuto, con la possibilità di ottenere attenzioni e un supporto. Spesso ci permette di essere coccolati, di essere ascoltati mostrandoci all’altro in un momento di difficoltà e smarrimento, permettendoci di essere pienamente noi stessi a contatto con un bisogno primario di accudimento. Questo è forse uno dei motivi per cui facciamo fatica a provare questo sentimento, perché inevitabilmente usciamo dal ruolo di persone forti e integerrime, per mostrare, a dire il vero, la parte più reale, profonda e umana di noi.
Tutto questo vale anche per i bambini! Anche i bambini hanno il diritto e il dovere di essere tristi e noi adulti, genitori non possiamo far altro che legittimare quanto loro provano, stando con loro nella tristezza, mostrandogli quanto un abbraccio o una carezza possano trasmettere loro sicurezza e calore. Contrariamente a ciò che si è soliti pensare, i bambini non hanno bisogno di consigli, di incitamenti all’essere sempre felici e propositivi, ma necessitano di essere accettati per quello che sono e che provano, con la certezza di non essere soli in questo.
E così anche il nostro amico pesciolino in un mare di tristezza incontra la tartaruga che lo invita a guardare il mondo in una prospettiva diversa, che gli permette di cogliere un mare completamente diverso, cosa che non sarebbe stata possibile senza essersi fermato a riflettere e a guardarsi intorno.
Dott.ssa Chiara Ghizzardi