L’istruzione è quell’aspetto dell’educazione che contribuisce alla formazione intellettuale e mentale del bambino e, di conseguenza, dell’uomo. La prima rende la seconda autentica e completa, ma non sufficiente, perché, se a sé stante, condurrebbe all’astrattezza e all’artificialità.
L’istituto a cui storicamente viene assegnata l’istruzione in primis è la scuola in ogni suo ordine e grado. Ad essa è chiesto di assumere una consapevolezza e una competenza tecnica che la allontani dall’improvvisazione e che la invita ad utilizzare metodologie e didattiche nel rispetto delle fasi di crescita della mente in evoluzione. Ma alla scuola si chiede, altresì, sensibilità e capacità educativa più ampia e completa. Si pensi, infatti, all’affettività e alla socializzazione. L’atto di istruire, quindi, non può essere unilaterale e parziale, ma deve essere percepito come un momento dell’educare dal quale a sua volta non può prescindere l’istruzione. La scuola, come istituto e luogo dell’istruzione formale, diventa anch’essa luogo dell’educazione per la sensibilità di cui si veste, ma i luoghi informali (anche la scuola a casa è deputata all’istruzione) sono anch’essi luoghi dell’istruzione e come tale vengono riconosciuti.
Testimonianza della correlazione fra istruzione ed educazione è la funzione dell’apprendimento. Inteso come processo psichico, l’apprendimento consente al bambino, al ragazzo e all’uomo di acquisire in forma durevole abitudini, conoscenze e competenze anche molto complesse. Le funzioni che intervengono in questo processo sono molteplici e coincidono con le facoltà umane della percezione, dell’attenzione, dell’immaginazione, dell’associazione e della memoria. L’apprendimento si realizza per condizionamento, imitazione, intuizione e per il semplice “fare”.
L’esito del processo di apprendimento dipende dal desiderio di imparare – la cosiddetta motivazione – e dal delicato equilibrio affettivo (capace di interferire sensibilmente finanche nel bloccare qualsiasi processo di conoscenza, attiva o passiva che sia), nonché dalle aspettative che l’ educatore, l’insegnante e il genitore, riversano sul soggetto che apprende.
Nell’ottica di un processo sinergico tra istruzione ed educazione, sarebbe molto interessante, quando si riflette sulla motivazione (motore indefesso di qualsiasi apprendimento), contestualizzare e rendere il più possibile attuale il metodo globale (Declory, 1871-1932), anche al di là dell’apprendimento della lettura a cui spesso è associato. I “centri di interesse”, quali centri propulsori di nozioni che appartengano a più campi della conoscenza (a diverse materie scolastiche se si è a scuola), possono essere estesi dalla scuola dell’infanzia, lungo tutto l’arco la scuola primaria, fino agli altri gradi della scuola, a ragione della interdipendenza degli ambiti di conoscenza. Oggi a nessuno può sfuggire che viviamo un momento storico in cui più che mai tutto avviene in modo immediato e, pertanto, sincronizzato.
Apprendere per centri di interesse è un modo funzionale che aggancia variabili quali la motivazione (sfera affettivo-emotiva) e l’apprendimento nozionistico legato all’acquisizione delle conoscenze (sfera dell’istruzione) per ampliare, a sua volta, il valore educativo del contesto (educazione).
Il tocco pedagogico in tutto ciò, dove sta? Sta nel fatto che ogni bambino, ogni alunno, ogni soggetto in apprendimento, è portatore di caratteristiche individuali uniche ed irripetibili, facilmente riconoscibili con la definizione di “differenze individuali”. Nel rispetto di queste e nella piena consapevolezza della loro incontrovertibile esistenza, il punto di vista pedagogico, intercettando le sacre differenze individuali, modula gli stimoli consoni ed elabora le strategie più congrue al fine di condurre, chi apprende, ad esiti apprenditivi soddisfacenti, per lo più stabili e capaci di essere ampliati, modificati ed anche sostituiti lungo tutto l’arco della vita in evoluzione.