Quando si parla di bambini, soprattutto se molto piccoli (0-3 anni), la prima cosa a cui tutti pensano o della quale si preoccupano è il pianto. Il pianto come fattore di disturbo, il pianto come misuratore di pazienza o ancora il pianto come capriccio. Ci si ritrova, nel corso della vita, ad avere a che fare con persone che guardano al mondo infantile come un semplice arco di tempo in cui il bambino è considerato un mix di instabilità caratteriale e bisogni fisiologici di cui prendersi cura. Se da una parte la gestione di un infante richiede un impegno rilevante, in egual modo se non di più, è importante prestare attenzione alla sua sfera emotiva.
Perché un bambino piange?
Volendo superare le questioni strettamente legate al sonno, stanchezza e fame; l’adulto deve preoccuparsi di cosa il bambino stia comunicando con quel pianto e come, eventualmente porre rimedio. Qui si nasconde il nocciolo della questione, la comunicazione. Con il pianto il bambino espone un problema, un disagio e richiama l’attenzione dell’adulto. Non ha altro mezzo per comunicare, soprattutto se ancora non ha iniziato a parlare in maniera sufficiente per potersi esprimere efficacemente.
Cosa fare quando piange?
E’ sicuramente la più grande preoccupazione di genitori ed educatori alle prime armi; come farlo smettere e magari anche nel minor tempo possibile. Una domanda in questa fase sembra cruciale: “è assolutamente necessario farlo smettere nel più breve tempo possibile?”.
Prima di preoccuparsi su come interrompere grida e fiumi di lacrime, è importante cercare di capire il reale motivo che ha dato origine a tutto questo. Contestualizzando il momento e cercando di analizzare cosa possa averlo infastidito o agitato, si può giungere a diverse ipotesi che nel giro di pochi minuti passeranno al vaglio del bambino tramite la consolazione ed un confronto.
E’ giusto consolare un bambino che piange?
Cercando di rispettare le linee guida di una corretta educazione; prima di avviare un confronto è opportuno fare delle valutazioni, per capire come muoversi successivamente. Se il pianto nasce da un bisogno è giusto che l’adulto intervenga tempestivamente; nel caso in cui il pianto sia originato da un capriccio o da un disagio (inevitabile in alcuni casi, vedi l’inserimento nel contesto scolastico/educativo), è consigliabile attuare un approccio differente. Sicuramente rimane importante concedere un momento di sfogo, che permette di liberare mente e cuore da un peso, successivamente si accoglie il disagio esposto.
Come accogliere il pianto del bambino?
Non c’è un corso universitario per imparare come gestire i momenti di instabilità dei bambini. E’ una predisposizione, prettamente umana e caratteriale, che si affina con il tempo. L’educatore o il genitore in questa fase deve essere predisposto ad ascoltare non solo con le orecchie, ma anche con gli occhi e con il cuore ciò che il bambino sta comunicando. La vicinanza fisica è il primo ponte della comunicazione, permette di sentirsi più vicini, abbassarsi alla sua altezza e avere la possibilità di guardarsi negli occhi lo rassicurerà dimostrandogli che può fidarsi. In un secondo momento, si potrebbe procedere su due linee:
- Capriccio: questo è un caso in cui il bambino probabilmente sta piangendo perché c’è qualcosa che a lui non sta bene; l’adulto ha il compito di fargli capire cosa è effettivamente giusto. Si deve parlare molto, nel caso dei più piccini, si può accompagnare il discorso da gesti; non importa che il bambino sia troppo piccolo per capire, è importante che veda quanto in quel particolare momento, un adulto stia cercando di instaurare una connessione con lui.
- Disagio: questa situazione si verifica spesso, ad esempio, quando un bambino affronta la fase della separazione dalla mamma o da una figura importante. Nel caso dell’educatore che si trova a dover gestire questo delicato momento, è fondamentale stabilire un contatto fisico o più comunemente conosciuto come abbraccio. Quest’ultimo sempre accompagnato da parole che spieghino al bambino cosa effettivamente stia succedendo e come si potrebbe affrontare insieme e al meglio la cosa. Anche questa volta non è assolutamente necessario che il bambino capisca le parole, quello che deve restare impresso nella sua mente è l’immagine di quel qualcuno di cui potersi fidare che cerca di stabilire un contatto. Per la comprensione del linguaggio ci sarà tempo più avanti.
Esistono strumenti che possano calmare il bambino?
Esistono sicuramente tanti libri e altrettante attività, oggi parleremo del: barattolo della calma.
Il barattolo della calma è uno strumento pedagogico ispirato alla pedagogia montessoriana; ha una funzionalità semplice e può essere costruito senza problemi in casa con pochi elementi. Non è necessario che sia per forza un barattolo, va bene anche una bottiglietta in plastica.
Come si costruisce:
Versare nel barattolo acqua calda fino a riempirlo quasi completamente (lasciare un pochino di spazio); unire all’acqua la colla con glitter colorati. Mescolare per bene e successivamente aggiungere brillantini e mescolare nuovamente. Si può anche aggiungere del colorante alimentare per colorare l’acqua. Il colore che Maria Montessori associava alla calma è il blu. In fine sigillare il barattolo.
Come agisce:
In un momento di forte stress e di pianto, scuotere il barattolo della calma attirerà l’attenzione del bambino. I colori sgargianti e i movimenti lenti dei brillantini che si muovono all’interno del barattolo sono gli ingredienti magici di questo speciale strumento; osservandoli il bambino si calmerà.
Funzionalità del barattolo:
Insieme alla sua funzione tranquillizzante, questo strumento aiuta il bambino a scoprire la consapevolezza di sé stesso e delle sue emozioni. L’adulto può contestualmente accompagnarlo in questo processo verso la calma attraverso il dialogo, che in questa fase ha una valenza costruttiva molto importante perché il bambino si sente rassicurato.
Il pianto del bambino non va mai ignorato, il dialogo e l’affetto sono le armi più potenti per far aiutarlo nei suoi momenti più delicati.