L’inseparabile ciuccio!
Nina adora il suo ciuccio e si immagina di non lasciarlo mai, di portarlo con sé al lavoro, di sposarsi con il ciuccio… e con questi esempi risponde alle sollecitazioni della madre che cerca di dissuaderla all’uso dello stesso.
Un giorno però qualcosa, anzi qualcuno le fa cambiare idea, qualcuno che ha bisogno d’aiuto.
Nel libro in questione emerge come l’attaccamento al ciuccio sia una cosa seria e spesso molto radicata: spesso assistiamo a scene di bambini di 5-6 anni che ancora ne fanno uso, bambini che ne hanno più di uno, che lo tengono ventiquattro ore su ventiquattro a prescindere da cosa stiano facendo, oppure sul versante opposto, mi capita altrettanto frequentemente di incontrare genitori disperati perché il figlio non lo vuole e chiedono consigli su come farglielo prendere.
Di fatto nella maggior parte dei casi, all’età di tre anni, prima dell’inizio della scuola materna, viene richiesta a gran voce una strategia efficace per toglierlo senza creare traumi, senza passare per il genitore cattivo o autoritario ed è sicuramente fondamentale arrivare a questo momento preparati per non viverlo come un passaggio traumatico.
Ed ora che fare?
Detto questo è fondamentale fare un passo indietro e prima di pensare a come togliere il ciuccio si dovrebbe osservare il bambino rispetto all’uso che ne fa e prima ancora di darglielo ci si dovrebbe chiedere quando e come può essere uno strumento utile.
Sappiamo che a tal riguardo le correnti di pensiero sono molte e di diversissimo approccio: da chi assolutamente ne vieta l’uso a chi invece propone un approccio senza pensieri.
Come al solito ritengo che la soluzione stia nel mezzo, cercando di sviluppare un buon senso nel proporlo o negarlo.
Non mi sento di demonizzare il ciuccio stesso, ma l’uso, anzi l’abuso, che spesso ne viene fatto.
È vero che molte volte è in grado di salvare situazioni complicate, come l’addormentamento, il viaggio in macchina o anche solo la chiacchierata fatta con l’amica o con il compagno.
Questo non deve far pensare che possa essere un metodo volto ad azzittire un figlio che vuole comunicare qualcosa, che ha un bisogno o un malessere che cerca di esprimere.
L’obiettivo primario dovrebbe essere quello consolatorio, calmante e per dare benessere al bambino, aiuta ad avere una modalità anche per gestire la frustrazione e l’attesa, per esempio tra un pasto e l’altro.
Quello su cui dobbiamo riflettere è il non cadere e non cedere nel fornire al bambino sempre la stessa risposta, perché a fronte di un malessere esternato con un pianto si nascondono diversi bisogni, che dobbiamo cercare di cogliere e distinguere, dando poi risposte diverse.
Se il pianto è dato dalla stanchezza o dalla rabbia come genitori e/o come educatori possiamo fare una coccola oppure possiamo verbalizzare le emozioni provate ed aiutare nello sfogarle nel modo più opportuno.
Aiutiamoli a riconoscere le loro emozioni
Spesso pensiamo che rapportarci con i nostri figli ed educarli richieda conoscenze particolari: in realtà loro vanno indirizzati a cogliere ed interiorizzare le strategie che utilizziamo per noi stessi.
Più siamo in grado di riconoscere le nostre emozioni e di farci carico di esse più riusciremo a guidare anche i nostri figli in questo e sapremo proporgli diverse strategie.
Certo questo è un compito che dobbiamo imparare ad attuare fin dal giorno zero, per abituare sia loro che noi ad un determinato tipo di linguaggio e di comportamento e per arrivare in modo più ragionato al momento in cui accompagneremo i nostri piccoli ad abbandonare il ciuccio.
Più il bambino si sentirà autonomo nella gestione delle sue sensazioni, più sarà naturale per lui fare un ricorso sporadico al ciuccio e lo lascerà spontaneamente o comunque con meno fatica.
Certo sarà comunque una separazione e come tale potrà portarlo a sentirsi triste. È quindi molto importante che questo momento sia accompagnato da una carica di autostima e fiducia in se che solo il genitore può trasmettergli.
Non avere più bisogno del ciuccio è una tappa di vita evolutiva importante, personale e significativa per ognuno di noi ed è per questo importante riuscire a farlo in modo consapevole, soprattutto per il bambino, che deve sapere quello che sta per succedere e soprattutto perché proprio in quel momento.
Osservazione e dialogo sono vincenti
Come sempre non esiste una strategia chiara e definita che vada bene per tutti, ma è possibile fare una riflessione anche con il bambino stesso.
Così come la piccola Nina, che nel momento a lei più congeniale, riesce a trasformare il suo ciuccio in una risorsa d’aiuto per qualcun altro.