Supponiamo sia una di quelle mattine in cui va tutto storto: fuori piove e avevi deciso di andare al lavoro in bici, sei in ritardo ed hai una riunione importante, tuo figlio ha la febbre e non arriva la babysitter. Per recuperare la carica decidi di preparare un buon caffè che purtroppo si brucia. A questo punto del racconto entra in scena il tuo o la tua partner che sentendo odore di bruciato potrebbe interagire con te in diversi modi e ciò che ti dirà-o non dirà e come te lo dirà potrà influenzare il tuo umore:
- Grida che non hai ancora imparato a fare un caffè decente,
- ti paragona alla suocera esaltando le sue doti nel fare il caffè,
- ti ricorda che era proprio quello che si aspettava da te,
- ti dice: “Se continui a fare il caffè così, mi sa che inizierai a fare colazione da sol*”,
- non ti dice nulla e se ne va con aria sconfortata, infine
- ti dice che può succedere e che le brutte giornate capitano a tutti!
Come vi avrebbero fatto sentire queste parole proferite non da chiunque ma da una persona così significativa?
Provate un attimo a fare questo giochino…
Vi sono delle modalità, dei toni, delle parole che vi avrebbero fatto saltare i nervi?
Quando qualcuno ci critica o ci urla contro riusciamo a ragionare?
Ora trasferiamo questo esempio al nostro modo di relazionarci con i figli. Quante volte ci capita di criticarli, correggerli o ci aspettiamo da loro quei comportamenti sbagliati che poi puntualmente si manifestano?
Tenendo in considerazione le sensazioni che avremmo potuto provare nel caso del caffè bruciato, esempio di un possibile episodio conflittuale, possiamo decidere come comportarci con i nostri figli. Credo sia molto utile chiedersi chi abbiamo di fronte e cosa pensiamo di nostro/a figlio/a e provare a mettere da parte i giudizi e le pretese che abbiamo su di loro: quante volte infatti vorremmo che facessero quella determinata cosa, che ci obbedissero ora e subito? Un primo passo per farci ascoltare allora potrebbe essere quello di non pretendere che ci obbediscano ma di richiedere ascolto perché noi stessi li ascoltiamo e abbiamo creato nel tempo con la pazienza, l’esempio e il rispetto una relazione basata sulla reciprocità. Potremmo fare la differenza nel rapporto con nostro figlio se avremo la capacità di metterci nei loro panni, di vedere la situazione dalla loro prospettiva per comprendere realmente cosa pensano e cosa provano nei diversi momenti.
Vorrei suggerirvi l’idea che tra un genitore e un figlio possa esistere un campo dove la partita che si gioca non è per vincere l’uno sull’altro ma per incontrarsi in un luogo dove costruire insieme la propria relazione affettiva.
Se tendiamo a sottolineare più gli errori e le mancanze che i risultati positivi raggiunti potremmo contribuire a rendere i bambini e i ragazzi meno sicuri di sé, farli sentire colpevoli/sbagliati oppure ottenere in loro più resistenze che cambiamenti desiderati. Le nostre parole hanno il potere di essere come una tela sulla quale un figlio può dipingere un’immagine positiva di se stesso.
Saper comunicare senza troppi ostacoli sarà un buon punto di partenza per ottenere un ascolto vivo e attivo: per questo facciamo attenzione alle nostre parole e alle modalità con cui le diciamo perché non funzionerà se affermiamo verbalmente di apprezzare lo sforzo fatto mentre con l’atteggiamento e con l’espressione del viso (non verbale) comunichiamo il contrario! Dobbiamo allenarci (per ritornare alla metafora del campo di gioco) e provare a sospendere i nostri giudizi, assumendo un approccio che miri alla risoluzione del problema perché in fondo è ciò che vorremmo ottenere: risolvere problemi per vivere relazioni felici oppure vogliamo solo avere ragione?